Intreccio di scampoli - 31 dicembre - Alessandria - recensione



“Questo è un luogo dove perdersi”.  La vecchia fabbrica Borsalino, un luogo della memoria  e un simbolo dell’eleganza di generazioni, suggestiona ancora e trasmette ricordi che appartengono a chi ci ha preceduto.
  La moda e la memoria sono donne che discutono e impongono la loro supremazia, mentre intrattengono i visitatori, nell’atrio della fabbrica, in attesa di un percorso nel museo del cappello. Il ritmo delle battute è ironico e incalzante, mentre vengono sciorinati aneddoti e dati su nomi di cappelli e di indumenti che hanno fatto la storia del costume. Termini inconsueti come lobbia o berretto frigio innescano episodi e rapidi scambi di battute sdrammatizzanti. 
Brave le attrici che riescono ad interessare e a coinvolgere una folla veramente numerosa ed eterogenea di spettatori. Stupisce l’organizzazione e la leggerezza scherzosa con cui vengono formati 3 gruppi al fine di rendere possibile un itinerario teatrale nelle sale del museo. Tutto pare fatto giocosamente e con la collaborazione degli spettatori stessi , visibilmente divertiti sia dalla recitazione che dai particolari tecnici della suddivisione. 
Una digressione brillante e dal tono enfatico sulle mani, protagoniste del lavoro manuale e rivelatrici, secondo l’arte della chirognostica, della personalità dell’individuo, coinvolge con una comicità da intrattenitore da fiera e con la musica di una fisarmonica.  A tratti è spontaneo ricordare quanto le mani siano state strumento di fatica e di lavoro interminabile.
 Al piano superiore, nel cuore dell’edificio, una “borsalina” racconta cosa la fabbrica, per una donna di un’epoca a noi ormai lontana, significasse: la possibilità di affrancare la famiglia dalla povertà, l’orgoglio di guadagnare e di uscire dal ruolo di donna di casa, l’aspirazione, con un salario in più, di far studiare i figli. Tutto ciò fronteggiando l’ingiustizia del minor salario rispetto agli uomini, gli sguardi alle gonne al vento, durante il tragitto in bicicletta per andare al lavoro, e le critiche a priori a chi, per lavorare, veniva tacciata di trascurare la famiglia. Il tono della recitazione è semplice, dimesso e privo di enfasi, l’effetto è toccante.
Infine il mito dei 150 anni del cappello Borsalino, un simbolo che incontriamo nella sala campioni della ex fabbrica  e che, impersonato  in modo convincente, ora sostenuto ora sentimentale, ci  fa vivere, attraverso i cappelli che popolano la stanza, storie di vita passata.  La pinzatura del cappello non fu solo una moda, ma la giusta forma per consentire ai gentiluomini di togliersi comodamente il cappello al cospetto delle signore, un gesto che si è perso nel tempo e che suscita una dolce nostalgia di forme cavalleresche. Colpisce la leggerezza e l’apparente facilità nel rievocare, con una recitazione efficace e naturale, scene d’epoca che ci scorrono sotto gli occhi.
L’ultima serata dell’anno al museo si conclude con i cori gospel dei  “Joy Singers Choir” mentre il pensiero corre a quanta bellezza e quanta fatica hanno avuto origine e luogo in questi muri. La scelta di una fine d’anno teatrale scherzosa ma, al contempo, dal tema ben radicato nella nostra città e nel nostro passato, è stata coraggiosa e vincente perché apprezzata da un pubblico numeroso e divertito. Uno spettacolo che speriamo venga replicato in altre occasioni. 

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